domenica 20 novembre 2011

Ecco come Equitalia mi ha rovinato la vita



"150mila euro di debito, casa ipotecata e ora le mani sul mio stipendio: ecco come Equitalia mi ha rovinato la vita"

di Antonella Loi
"La mia vita oggi è un concentrato di paura e ansia". La paura è quella che ti porti dietro tutti i giorni e che prende la forma asettica e spietata di una cartella esattoriale di Equitalia. L'ansia ne è conseguenza. "Quando trascorri anni senza dormire, subisci un principio di infarto e ti devi imbottire di ansiolitici, cominci a pensare al peggio: l'incubo di vedermi recapitata l'ennesima raccomandata dagli strozzini di Stato mi sta uccidendo". La storia di Antonio, 51 anni, ex piccolo imprenditore del ricco Nordovest italiano - "la laboriosa provincia leghista" - è una delle tante. Sono centianaia di migliaia, infatti, le piccole imprese e le attività autonome che in tutta Italia rischiano il fallimento a seguito della mannaia dello spietato agente di riscossione di proprietà dell'Agenzia delle Entrate e dell'Inps. "Oggi sono un lavoratore dipendente", racconta Antonio che per pudore (quello che forse si richiama ad un certo senso di dignità) ci chiede di non rivelare il suo vero nome e la sua città di provenienza. "Grazie alla mia caparbietà sono riuscito a reagire, lavorando anche 12 ore al giorno in aeroporto, e ad andare avanti nonostante tutto". Ma le difficoltà restano e crescono a ritmi esponenziali: "Mi hanno ipotecato la casa, messo le ganasce fiscali alla macchina e adesso minacciano di togliermi una parte dello stipendio. Sa a quanto ammonta oggi il mio debito con Equitalia?"
Dica.
"Devo allo Stato 144mila euro a fronte di una somma iniziale in cartella di 77 mila, che, per intenderci, era già il triplo della somma realmente dovuta allo Stato e crescitua all'inverosimile in pochi anni a causa di un sistema assurdo di calcolo di sanzioni e interessi".
Come è nato questo debito?
"Ero un piccolo imprenditore, a 28 anni avevo aperto un punto vendita di dischi. All'inizio le cose andavano alla grande, facevo anche il deejay e il mio socio ed io rientrammo facilmente nel prestito che avevamo chiesto per avviare l'attività. Ma dopo qualche anno le cose cambiarono".
Cosa successe?
"Cademmo vittime del mercato: l'arrivo della grande distribuzione, che prima attira i clienti con prezzi stracciati e che poi, quando ha eliminato tutti i concorrenti, cioè i piccoli punti vendita come il nostro, rialza le tariffe. Nella mia città c'erano quattro negozi di dischi, oggi solo uno. Insomma, le vendite cominciano a rallentare anche a causa dell'arrivo dell'Mp3, il vero killer del mercato discografico, e i negozi on line".
La capacità di resistere quando il mercato cambia, spesso è difficile da trovare.
"Il mio socio decide a questo punto di andare via, io rimango da solo a combattere contro tutto: caro prezzi e pirateria. I redditi via via si contraggono fino a sparire del tutto con costi di gestione sempre più alti: affitti, merce invenduta, bollette, tasse comunali e quant'altro. E' l'inizio della fine: cominciano i problemi con le banche e quel che è peggio cominciano i problemi in famiglia".
Dramma che si somma al dramma.
"Esatto, quando il lavoro non va le tensioni si sfogano in casa. Per farla breve mia moglie decide che è ora di finirla e mi accompagna alla porta. Saluto i miei due piccoli e me ne vado con la coda tra le gambe. Meno male che ci sono i miei genitori, ma che tristezza tornare sconfitti".
A questo punto gettare la spugna è nell'ordine delle cose.
"Io per un po' provo a resistere, lotto con tutte le mie forze ma non mi riesce di pagare le tasse. Salto qualche versamento all'Inps, quelli della mia pensione perché non ho dipendenti. Però denuncio tutto, ciò che manca è la liquidità. Alla fine con sofferenza decido di vendere, evito il fallimento all'ultimo momento: non mi rimane nulla, ma almeno non devo niente a nessuno, mi dico. Purtroppo non è così".
Cosa accade a questo punto?
"Qualche anno dopo la sorpresa: mi arriva la richiesta dell'Agenzia delle entrate di giustificare la valutazione di magazzino, a suo modo di vedere troppo bassa. Cioè si sosteneva che un disco comprato oggi a 10, dopo un anno doveva essere messo a bilancio sempre a 10. Ma io non vendevo chiodi, vendevo dischi: è pacifico che nel giro di un mese - tranne che per alcuni autori - le nuove uscite perdono il loro valore iniziale ed è come se non avessi più nulla in mano. Io provo a spiegarlo, ma l'Agenzia delle entrate non ascolta".
Il Fisco non ha umanità e non sente ragioni oltre la lettera delle norme.
"Pochi mesi e arriva la mazzata: 77mila euro. Una cifra assurda, triplicata grazie a sovrattasse, interessi e balzelli vari. Uno strozzino non avrebbe chiesto di più. All'epoca mi ero trovato un lavoro a 1000 euro al mese e di questi 500 se ne andavano come alimenti per i miei figli. Cosa potevo fare?".
Intanto il tempo passa, Equitalia è famelica.
"Infatti le richieste si fanno sempre più pressanti e le cifre sempre più esagerate. Ma non è tutto, perché ben presto arriva il fermo amministrativo dell'auto e l'ipoteca sulla casa, quella dove vivono i miei figli, si rende conto? L'idea che possa essere messa all'asta mi fa imbestialire. A questo punto il sequestro dello stipendio rischia di essere il degno epilogo. Il debito che mi ritrovo addosso oggi, nonostante abbia lavorato anche 12 ore al giorno e con turni da 21 notti consecutive, continua a crescere".
Centoquarantaquattromila euro è una cifra consistente. Come si fa ad uscire da questo girone infernale?
"Cerco di migliorare la mia vita lavorativa. Negli ultimi anni sono riuscito ad ottenere posti di lavoro meglio retribuiti, grazie alla mia determinazione e alla voglia di lavorare che mi è riconosciuta da molti. E per fortuna in questa lotta non sono solo: mi sono risposato con una donna fantastica che non smette mai di incitarmi a non mollare, anche se, lo ammetto, più di una volta ho pensato di farla finita. E l'idea che caccino i miei ragazzi da casa, dopo che ho sofferto così tanto per la separazione da loro, non mi fa dormire. Ma c'è una cosa che non capisco".
Prego.
"Credevo che lo Stato fosse un'istituzione nella quale credere, garanzia di giustizia e di solidarietà. Invece non è così: è al servizio dei potenti e schiaccia i più deboli. E so che siamo moltissimi a vivere questa tragedia. Ad uno come me cosa rimane? Forse la fede, io sono credente, ma anche da lì trovo solo il silenzio: ho contattato diverse volte la Caritas, nessuna risposta. Mi chiedo dove sia la Chiesa che si dice paladina dei sofferenti: perché non ha speso nemmeno una parola contro questi soprusi?".
07 ottobre 2011
 http://notizie.tiscali.it/articoli/interviste/11/10/equitalia_antonio_nordovest.html

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